5 febbraio 2010
La Commissione Europea è contro le banche dati utilizzate in Italia per il telemarketing
Ho letto che lo scorso 28 gennaio la Commissione Europea ha inviato al nostro Paese una lettera di messa in mora con alcune contestazioni riguardo il rispetto della Direttiva 2002/58/CE, relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche, che mira ad armonizzare le disposizioni degli Stati membri riguardanti gli obblighi dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica in materia di conservazione dei dati.
Questa direttiva comunitaria è stata oggetto di varie modifiche e aggiornamenti, giacché le moderne tecnologie sono un veicolo pericolosissimo per la diffusione non autorizzata dei dati personali. Proprio per tale motivo sono state annunciate ulteriori modifiche alla direttiva, per garantire a tutti i consumatori europei una tutela effettiva del diritto alla privacy, anche di fronte al diffondersi delle nuove tecnologie.
L’Italia invece… va all’indietro, come dimostra l’evolversi della vicenda riguardante il cd. “telemarketing” ed era inevitabile, a mio parere, che si arrivasse a una presa di posizione ufficiale dell’Europa nei confronti del nostro Paese.
L’Italia, infatti, con l’art. 44 della L. 14/09 (che ha convertito il D.L. 207/08) ha prorogato la possibilità di utilizzare per fare televendite le banche dati costituite sulla base di elenchi telefonici pubblici formati prima del 1° agosto 2005, anche se gli abbonati inseriti in tali elenchi non hanno fornito espressamente il consenso all’utilizzo dei propri dati per tale finalità.
In sostanza – come ha giustamente rilevato l’esecutivo della UE – l’Italia con questo sistema non garantisce agli abbonati iscritti nell’elenco telefonico di essere inseriti in un database con fini commerciali solo con il loro preventivo consenso espresso. Ma questo è un diritto espressamente tutelato dall’art. 12 della direttiva comunitaria, che prevede che gli Stati membri devono garantire che gli abbonati, prima di essere inseriti in un elenco pubblico, siano informati degli scopi e dell’uso che sarà fatto dei propri dati personali e, soprattutto, che gli abbonati possano decidere se i loro dati (e, in caso affermativo, quali) possano essere riportati in un elenco pubblico. Di qui l’inevitabile messa in mora del nostro Paese.
Va ricordato che la proroga (che, in base al disposto della L. n. 14/09, scadeva il 31 dicembre 2009) è stata differita (dall’art. 20-bis, comma 3, della L. n. 166/09, di conversione del D.L. n. 135/09, cd. “decreto Ronchi”) sino al termine di sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge 20 novembre 2009 n. 166, la quale consente il trattamento dei dati mediante l’impiego del telefono per finalità di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale, nei confronti di chi non abbia esercitato il diritto di opposizione e prevede l’istituzione di un “registro pubblico delle opposizioni” appunto entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge medesima (cioè in pratica fino al 1° luglio 2010).
La mancata previsione della richiesta di un consenso espresso da parte degli abbonati all’utilizzo dei propri dati per fini promozionali, costituisce, secondo la Commissione Europea, un’evidente violazione dell’art. 12, Dir. 2002/58/CE e adesso l’Italia ha solamente due mesi di tempo per rispondere agli addebiti che la Commissione le contesta. Qualora non dovesse rispondere, o non lo facesse in maniera soddisfacente, la questione potrebbe essere portata dinanzi alla Corte di Giustizia della CE per dichiarare l’Italia “inadempiente”. Dopodiché, se il nostro Paese fosse condannato, tutti i soggetti che avessero subito un danno per effetto della violazione alla direttiva comunitaria potrebbero chiedere il risarcimento; inoltre, l’Italia dovrebbe pagare alla CE una pesantissima sanzione pecuniaria (il cui minimo mi sembra che sia circa 10 milioni di euro!).
Evidentemente la privacy all’Italia non piace molto… o meglio, solamente se “costretto2 il nostro Paese si adegua. Ricordo ancora il percorso alquanto sofferto che portò all’introduzione della prima disciplina organica sulla tutela dei dati personali nel nostro Paese (L. n. 675/96). Quella volta, su “pressione” della Corte di Giustizia della CE, l’Italia fu costretta a osservare la direttiva comunitaria n. 95/46/CE (emanata sulla scia della Convenzione n. 108/1981 del Consiglio d’Europa), che rendeva obbligatoria per gli Stati membri l’applicazione della disciplina sul trattamento dei dati personali. E allora mi domando: si ripeterà ancora questa storia? Dovrà essere sprecato altro denaro pubblico per il pagamento di sanzioni comunitarie? Staremo a vedere…